Sia la Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 10) che la Carta Europea dei diritti fondamentali (art. 11) stabiliscono che ogni persona ha diritto alla libertà di espressione, che include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera (pur essendo possibile, ove necessario per il mantenimento della sicurezza nazionale e dell’ordine democratico, sottoporre l’esercizio delle suddette libertà a formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni).

Poiché la libertà di espressione è uno dei diritti potenzialmente in conflitto con il diritto alla protezione dei dati personali, la Corte è più volte intervenuta individuando nella libertà di stampa una deroga, purché tuttavia il fatto pubblicato dall’articolo rivesta un interesse generale, l’interessato sia un personaggio pubblico, la fonte dell’informazione sia affidabile e, da ultimo, se la forma di espressione oggetto di valutazione contribuisca o meno ad un dibattito di interesse generale (con le sentenze Şahin Alpay c. Turchia, ric. n. 16538/17 e Mehmet Hasan Altan c. Turchia, ric. n. 13237/17, entrambe del 20.03.18, la CEDU ha accertato la violazione da parte della Turchia del diritto alla libertà e sicurezza e alla libertà di espressione di due giornalisti illegittimamente posti e trattenuti in detenzione a seguito del fallito colpo di Stato del luglio 2016).

L’Art. 85 del GDPR, dal titolo “Trattamento e libertà d’espressione e di informazione” , stabilisce che il diritto degli Stati membri concilia la protezione dei dati personali ai sensi del presente regolamento con il diritto alla libertà d’espressione e d’informazione, incluso il trattamento a scopi giornalistici o di espressione accademica artistica e letteraria, e prosegue con la previsione di deroghe ove esse risultino necessarie per conciliare il diritto alla protezione dei dati personali e la libertà d’espressione e di informazione.

Il giornalista, la cui responsabilità è innanzitutto nei confronti dell’opinione pubblica che ha il diritto di essere informata, deve sempre operare una personale valutazione in ordine alla pubblicazione di dati personali, individuandone la liceità (ovvero se sono stati raccolti in modo corretto) o meno rispetto ai principi del GDPR e della dignità della persona, e l’essenzialità ovvero la loro necessarietà rispetto alla notizia pubblicata.

Quanto alla cronaca giudiziaria, essa, al fine che risulti garantito il controllo pubblico sull’operato delle Autorità giudiziarie e delle forze di polizia, è soggetta a un regime di pubblicità degli atti processuali, delle udienze e dei provvedimenti giurisdizionali (ad esclusione di atti e investigazioni soggette a segreto istruttorio) ma a condizione che vi sia un interesse pubblico, che il fatto sia vero e l’esposizione abbia una forma civile. Nello specifico, qualora un giornalista debba decidere se pubblicare o meno dati relativi ad arresti e condanne, dovrà sempre valutare se ciò sia o meno in contrasto con il predetto principio dell’essenzialità dell’informazione, limitandosi a pubblicare solo i dati davvero rilevanti per il pubblico (il Garante ha, ad esempio, vietato la pubblicazione di foto segnaletiche e di immagini di persone con le manette ai polsi, mentre la diffusione dei nomi di persone condannate e dei destinatari di provvedimenti giurisdizionali si inquadra nel generale regime di pubblicità dei provvedimenti giurisdizionali) e comunque evitando sempre la pubblicazione dei dati identificativi del condannato che comportino l’identificazione dell’eventuale vittima del reato o di altre persone meritevoli di tutela. E’ comunque sempre possibile  per la vittima del reato opporsi alla pubblicazione dei propri dati.

L’art. 17 del GDPR individua il diritto alla cancellazione, altrimenti detto diritto all’oblio. Anche in questo caso occorre valutare la sussistenza del preminente interesse pubblico, con riferimento ruolo, pubblico o meno del personaggio in questione, ogni volta si debba riproporre informazioni personali in ambito giornalistico a distanza di tempo, tenuto anche conto del fatto che a distanza di tempo le informazioni contenute negli archivi potrebbero essere diventate inesatte. Per questo motivo il Garante ha ottenuto che le informazioni presenti in archivi storici giornalistici online non siano consultabili attraverso i normali motori di ricerca generalistici, ma solo attraverso i motori di ricerca interni all’archivio (c.d. web tool box).

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza C- 131/12 del 13.05.2014, ha sancito il riconoscimento a livello comunitario del diritto all’oblio e la responsabilità, in capo al gestore di un motore di ricerca su internet, del trattamento di dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi (nel caso specifico un cittadino spagnolo chiedeva ed otteneva di potersi rivolgere al gestore di una pagina web per la cancellazione di pagine che contenevano dati personali allo stesso riferiti e a cui si accedeva per tramite di link dalla pagina iniziale). Si ritiene infatti che vi sia lesione della reputazione, intesa come stima di cui un soggetto gode tra i propri consociati e l’onore, quale opinione e percezione che l’individuo nutre di se stesso, ogni qualvolta vengano riproposte notizie magari datate o comunque non più attuali, che si rivelino pregiudizievoli per il soggetto interessato e che tale lesione si verifichi nel momento in cui le informazioni siano “alla portata di tutti” poiché reperibili attraverso l’uso dei più noti motori di ricerca col mero utilizzo di alcune parole chiave o, quando si tratti di articoli più datati,  tramite la consultazione di archivi.

Con l’ordinanza n. 28084/2018 la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite, di cui si è ancora ad oggi in attesa, per avere un chiarimento circa la questione relativa al bilanciamento tra diritto di cronaca e diritto all’oblio e alla necessità di individuare criteri di riferimento che consentano l’individuazione dei presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia a sé relativa, diffusa in passato, non resti esposta e non sia divulgata a tempo indeterminato.